C’era, fino a un anno fa, un negozietto dall’aspetto piuttosto sudicio, vicino a Seven Dials, sopra il quale in lettere giallastre sbiadite dalle intemperie, si leggeva: “C. Cave, Naturalista e Commerciante in antichità”. Il contenuto della vetrina era curiosamente variegato. Annoverava zanne di elefante e un set incompleto di scacchi, perline e armi, una scatola piena di occhi di vetro, due teschi di tigre e uno umano, diverse scimmie impagliate mangiate dalle tarme (una reggeva una lampada), un armadietto datato, qualcosa di simile a un uovo di struzzo infestato dalle mosche, alcuni attrezzi da pesca e un acquario di vetro vuoto, straordinariamente sporco. C’era inoltre, nel momento in cui inizia questa storia, un pezzo di cristallo lavorato in forma d’uovo, particolarmente lustro. E questo cristallo, due persone, ferme davanti alla vetrina, stavano appunto guardando, un chierico alto e magro e un giovane dalla barba nera, carnagione scura e abito modesto. Il giovane ombroso parlava gesticolando idee con vivacità, e sembrava impaziente che il suo compagno acquistasse l’articolo.
Mentre se ne stavano lì, il signor Cave entrò nel suo negozio, la barba ancora occupata ad agitarsi con il pane e burro appena consumato con il tè. Quando vide questi due uomini e l’oggetto della loro considerazione, il suo volto si fece cupo. Gettò uno sguardo colpevole oltre la spalla e chiuse delicatamente la porta. Era un ometto anziano, viso pallido e occhi azzurri, acquosi, molto particolari; i capelli erano di un grigio sporco e indossava una redingote blu consunta, un vetusto cappello di seta e ciabatte di lana piuttosto malconce. Rimase a guardare i due uomini che continuavano a parlare. Il chierico affondò una mano nella tasca dei pantaloni, esaminò una manciata di monete e mostrò i denti in un sorriso cordiale. Il signor Cave apparve ancora più depresso quando i due entrarono nel negozio.
(Traduzione di Rossella Monaco)